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Ogliastra. Là, dove nasce l’olio.



Città dell'Olio: ILBONO

Istituto: GRAZIA DELEDDA IC

Classi / Sezioni: III B

Referente / Insegnante: MARIA PINA NOTO

La mia Intervista

Titolo dell'Intervista:

Ogliastra. Là, dove nasce l'olio.

Testo dell'intervista

A guardarla dal mare, l’Ogliastra appare in tutto il suo splendore. Una sequenza di graniti e porfidi che si confondono con il verde intenso degli ulivi. Uno spettacolo che mozza il fiato. E doveva mozzarlo anche agli antichi che da oltre il mare venivano fino a questa terra, se per identificarla non trovarono di meglio che chiamarla Oleastren, terra degli olivastri. E a quella guglia stupenda di porfido che si trovavano dinanzi prima che si aprisse ai loro occhi l’anfiteatro naturale di Oleastren e che consentiva a chi veniva dal mare di capire dove fosse senza pericolo di sbagliare, diedero proprio il nome di Agugliastra, guglia del territorio degli olivastri. Erano gente pratica e davano ai luoghi nomi facili da ricordare. Anche noi, nel nostro viaggio alla scoperta dell’olio profumato che questo territorio produce da millenni, siamo partiti da lì. E perfino chi già era venuto ai piedi di questa guglia altre volte, dopo averne sentito in classe la storia, è rimasto sorpreso. E da lì siamo partiti nel nostro viaggio, stupiti dal meraviglioso incontro di sole, terra, porfidi e ulivi di questa nostra terra stupenda. «Perché - come ci ha spiegato il sig. Giorgio, un agricoltore vero che cura gli ulivi come figli e che ci ha fatto da guida nelle varie tappe del nostro viaggio -, gli ulivi di questo territorio non sono ulivi piantati dall’uomo, ma sono ulivi piantati da Dio. L’uomo li ha solo innestati. E poi sono venute su queste piante secolari, alcune perfino millenarie, distribuite nel territorio in modo solo apparentemente disordinato, senza filari, perché gli agricoltori nella loro pazienza e sapienza le innestano dove decidono di nascere e si limitano solo ad aiutarle crescere e a crescere forti». Intorno a noi, alla base della guglia sferzata dal vento, ci sono solo olivastri, carichi delle loro piccole bacche nere. «Come mai non li hanno innestati?», chiede Melissa, quella che fa sempre domande. E non tutte azzeccate. Qualcuno ride. Alessandro la rimprovera: «Ma che razza di domande fai?». Sig. Giorgio ci guarda e spiega: «qui c’è troppo vento e troppa salinità, possono resistere solo gli olivastri che hanno un DNA antico e forte. L’ulivo è una pianta che ha bisogno di carezze, di protezione, di amore. Qui, sospeso tra rocce e mare, non resisterebbe a lungo». «E perché nessuno raccoglie le drupe? Sembrano belle», dice Antonio che ne ha già raccolte alcune e le tiene in mano. «Bravo, questa è una bella domanda», dice il sig. Giorgio, mentre ne coglie alcune ed invita anche noi a fare altrettanto. Le guardiamo. Sono piccole, piccolissime. E scure, molto scure. «Gli antichi facevano l’olio proprio spremendo queste “bacche” - dice ancora il sig. Giorgio -, ma non è semplice, ne serve una quantità troppo grande per aver un quantitativo d’olio sufficiente. Però, ho degli amici che abitano nei paesi vicini che ancora lo fanno. Ma si tratta di un prodotto che viene usato per fini cosmetici; anticamente veniva usato per alimentare le lampade dei templi e delle chiese. E, soprattutto, costa tantissimo!». «Sig. Giorgio, allora ci si può anche arricchire, io lo faccio!», dice Matteo che gli piace pensare agli affari. «Se ci riesci farai una bella esperienza. È un tesoro dimenticato, sicuramente da valorizzare. Ma non so se ti arricchirai davvero... E ora andiamo, il viaggio alla scoperta dell’ulivo è appena iniziato». Ed eccoci a Scerì, in territorio del nostro paese, Ilbono, ai piedi del grande nuraghe che sembra un gigante di pietra posto a guardia degli uliveti che si stendono a perdita d’occhio ai suoi piedi. Ci sediamo. Ad accoglierci troviamo le guide del sito archeologico, l'agronomo Enzo e l'associazione Beranu.
«Adesso facciamo tutti silenzio e ascoltiamo. Sentirete gli ulivi che parlano». Sig. Giorgio dice le cose in un modo proprio convincente. E tutti stiamo in silenzio. Si sente solo il suono dell’ultimo vento d’inverno che passa tra gli ulivi giganteschi della valle. «Gli ulivi si raccontano storie. Ce ne sono di vecchi, più vecchi dei vostri bisnonni e di giovani; alcuni sono perfino ragazzi. Raccontano di quando un agricoltore, magari il vostro nonno o il nonno di vostro nonno, ha iniziato la procedura dell’innesto e li ha trasformati da olivastri in ulivi». Sig. Giorgio ci parla degli antichi agricoltori che hanno abitato questi luoghi, della loro pazienza, del loro coraggio, della durezza della loro vita, della loro forza... Lo ascoltiamo in silenzio, come incantati. «Ma allora per stare zitti dobbiamo fare lezione in campagna, vero?!»: la prof di scienze ci riporta al momento che stiamo vivendo. «Adesso vi faccio vedere come si fa un innesto». Mentre scendiamo dall’altura dove si trova il nuraghe scorgiamo le domus de janas. «Chi si ricorda cosa vuol dire la parola jana?» punzecchia, come al solito, la prof d’italiano. «Erano le fate che abitavano nelle campagne», dice pronta Fabiola. «Si - riassume la prof -, erano delle strane creature che erano credute molto piccole di statura e che abitavano le domus. Ma in realtà noi sappiamo che le domus de janas sono delle antichissime grotticelle sepolcrali. Gli antichi pensavano che gli spiriti degli avi proteggessero le campagne». «Si - coglie al balzo il sig. Giorgio -; nelle campagne, in queste nostre antiche campagne si raccoglie tutto lo spirito dei nostri antichi». E ci mostra un antico ulivo. «Cosa vedete di strano?». «Ma non dovevamo esser noi a fare le domande a lei?», interviene di nuovo Melissa, mentre il sig. Giorgio continua a fare domande che hanno il solo scopo di invitarci ad osservare per poi trarre conclusioni. Sembravamo in un programma di quiz ed è stato pure divertente. Abbiamo, infatti, notato che il tronco non era unico ma che dalla sua parte bassa spuntavano i rami. «Qui l’olivastro è stato tagliato, quando era ancora giovane, e l’agricoltore ha innestato le marze che poi sono cresciute e sono diventate i suoi rami. Adesso vi faccio vedere». Il sig. Giorgio ha tirato fuori dal suo zainetto un segaccio, delle forbici, un coltellino molto affilato, della rafia e del mastice, ma prima di iniziare l’operazione di innesto ci ha parlato delle varie qualità d’ulivo che vengono coltivate in Ogliastra, spiegandone le differenze sia nella qualità che nelle quantità prodotte da ciascuna cultivar. Ci ha parlato dell’ogliastrina, della bosana, della semidana e della tonda di Cagliari. Poi ha iniziato a praticare l’innesto. Le sue mani agivano con molta precisione e lui stava attentissimo a non fare nulla di sbagliato. «L’anno venturo torneremo qui a vedere se l’innesto è andato a buon fine. Ma penso di sì», ha aggiunto facendo un sorrisetto compiaciuto. Poi abbiamo proseguito la discesa a valle e ci siamo immersi negli antichissimi oliveti. «Perché non vediamo terrazzamenti o impianti di irrigazione?», chiede Gianmario. «Sarebbero necessari entrambi ma hanno un costo di realizzazione e di manutenzione elevato. Qui gli ulivi vengono coltivati a secco confidando nelle piogge che il Cielo vorrà mandarci. Questo, se da un certo punto di vista rappresenta un problema perché in caso di siccità si avrebbe un calo della produzione, dall’altro garantisce la qualità della produzione e il mantenimento della conformazione del territorio». «Chi mi sa dire la parolina magica che riassume questo concetto?», è di nuovo la prof di scienze che fa la prof! «Sostenibilità» risponde svelto Rudi che sembrava pure distratto. «Esatto, riprende la prof, e la sostenibilità si ha quando non si turba la condizione di equilibro che esiste tra la pianta e l’ambiente che la circonda». «Ha dimenticato una cosa» la interrompe il sig. Giorgio: «pianta, ambiente e coltivatore: perché è il coltivatore che chiude il cerchio!». Leonardo lancia un’occhiataccia alla prof, come a dirle: «ben le sta!». «Questa è una condizione che qui da noi, in Ogliastra, si genera in maniera quasi spontanea. Ed è una cosa che non accade in molte parti!», conclude orgoglioso! È ora di pranzo. Ci sediamo sui sassi che affiorano in mezzo all’oliveto. In alto il nuraghe ci guarda. «A pranzo solo pane e olio» dice il sig. Giorgio con un sorrisetto, mentre cava fuori da un cesto di vimini che aveva tenuto ben nascosto una decina di contenitori di vetro. «Ora vi mostrerò come gli oli non sono tutti uguali». E lo abbiamo scoperto assaggiandoli. La degustazione ci ha convinto che non tutti gli oli sono uguali alla vista, all’olfatto e al gusto. Poi, però, è arrivato il furgoncino della mensa scolastica e abbiamo mangiato anche delle altre cose! Al pomeriggio abbiamo assistito alla raccolta delle olive. Non che per molti di noi fosse una novità, visto che qualche pianta d’ulivo la possiede ogni famiglia...! Il sig. Giorgio ci ha fatto vedere come si battevano le piante per far cadere le olive fino a non molti anni fa. Ha impugnato una lunga canna che aveva preso lungo il torrente e poi ha cominciato a battere le chiome. «Era un lavoro pesantissimo e faticoso», ci ha spiegato; «però adesso con gli scuotitori meccanici possiamo fare ugualmente un lavoro che non danneggia le piante e facilita la raccolta». L’ultima tappa è stata al frantoio. Si trova in alto, sopra Lanusei. Da lassù abbiamo potuto osservare l’ampia distesa di ulivi e i lunghi filoni di porfido che corrono fino al mare. E abbiamo pensato come è bella la nostra Ogliastra! E come siamo fortunati a viverci! Appena entrati il profumo intenso del vero olio d’oliva, puro, come scorre dal frantoio, vivo, forte, intenso ci ha avvolto. «Parit s’oro (sembra oro)», diceva quasi commosso il sig. Giorgio al vedere trasformato il frutto del suo lavoro. Nonostante il via vai, tutto si svolgeva con ordine e precisione. Però siamo rimasti sorpresi al vedere pochi giovani. «Della campagna ci si innamora dopo i 40 anni. I giovani, per la maggior parte, preferiscono non investire le proprie risorse in attività che dipendono dai capricci climatici, che non conoscono feste e comportano fatica fisica. Ma voi sono certo che le saprete amare queste piante buone».