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50 sfumature d’olio – La lunga avventura dell’oliva per diventare olio



Città dell'Olio: Monte San Vito

Istituto: Dante Alighieri

Classi / Sezioni: II B

Referente / Insegnante: Antonella Angelillo/ Andrea Mazzanti

La mia Intervista

Titolo dell'Intervista:

50 sfumature d’olio - La lunga avventura dell’oliva per diventare olio

Testo dell'intervista

Lo sapevate che l’oliva è un frutto? E che esistono quattro tipologie di olio ma più di cinquecento varietà d’oliva? Lo sapevate che le olive vengono lavate e che l’olio fa la centrifuga? Produrre olio non è così semplice come sembra: occorrono passione, competenza, esperienza e amore. A questo proposito andremo ad intervistare Francesca Petrini, frantoiana co-titolare dell’azienda Fattoria Petrini di Monte San Vito che ha prodotto oli d’eccellenza premiati in diversi concorsi internazionali.
Francesca, come si fa a fare un olio così buono?
Non c’è un’unica risposta, ma intervengono tanti fattori. Alla base ci sono gli uliveti e questo è fondamentale. Poi dobbiamo avere il macchinario che trasforma le olive in olio per finire poi con imbottigliamento e distribuzione. È un processo di filiera, cioè un procedimento produttivo che parte dalla materia prima fino ad arrivare al prodotto finito, cioè la bottiglia. Non è così scontato: non tutto il mondo olivicolo è caratterizzato dal possedere questa filiera. Una materia prima molto buona può essere rovinata da un frantoiano mediocre, così come un ottimo frantoiano può essere penalizzato dal non avere materia prima di qualità.
Inoltre è necessario saper distinguere l’olio buono da quello cattivo. L’olio buono deve profumare, avere dei sentori che ricordano la mandorla, il carciofo, l’erba e il pomodoro, deve essere piccante, cioè pizzicare naturalmente in gola. Quello è un segno positivo, come la presenza di un sapore amarognolo.
Quindi, riassumendo, per fare un olio buono occorre un insieme di competenze: tecniche e tecnologiche, produttive, organolettiche e agronomiche.
Come è nata la passione per l’olio?
La passione è nata almeno trent’anni fa, mi è stata trasmessa dalla mia famiglia che aveva l’azienda: prima nonno, poi mio padre e adesso io con mio fratello. All’epoca avevo 18 anni ero giovane e poco esperta. La passione è cresciuta nel tempo, ma a questa ho dovuto abbinare lo studio e la conoscenza, perché per avere successo occorre avere delle competenze tecniche che aiutano a migliorare. Imparando, poi, la passione cresce e si alimenta automaticamente.
Quanti tipi di oli producete?
Noi produciamo olio di oliva extra vergine. Esistono anche altre categorie di olio. L’olio EVO è il top, il massimo della qualità. Ne produciamo di diversi tipi, perché esistono tanti ulivi di varietà diverse. Se ad ottobre, al momento della raccolta, prestate attenzione, noterete che le piante si differenziano per la forma delle foglie (più lunghe, più larghe...), dei frutti (rotondi, ovali, neri, tendenti al rosso vinoso, verdi... ecc). C’è tanta biodiversità: solo nella nostra azienda abbiamo raggia, frantoio, leccino, maurino, moraiolo, carboncella e rosciola. Da queste varietà otteniamo oli diversi.
Ogni oliva ha un suo gusto: quindi combinando gli oli otteniamo gusti più delicati, più fruttati, più intensi, altri adatti per cucinare e così via. In tutta Italia esistono più di 500 varietà di ulivi diversi: è il paese con più biodiversità al mondo! Abbiamo un patrimonio incredibile: solo nelle Marche ci sono una trentina di specie autoctone che non si trovano in altre regioni dove, invece, ne sono presenti altre. È una ricchezza e motivo di orgoglio. Avete la fortuna di vivere in un luogo, Monte San Vito, di una bellezza rara, città dell’olio
dove esistono piante secolari della varietà RAGGIA tipica del territorio e premiatissima in tutto il mondo.
Quanti ulivi avete?
Circa 10.000. (Non sono pochi)
Utilizzate solo le vostre olive o anche di altri produttori?
Prevalentemente le nostre olive. Occasionalmente ci viene conferito del prodotto esterno in aggiunta al fabbisogno normale.
Fate controlli sulla vostra produzione? Quali?
Sì, i controlli di produzione sono costanti e quotidiani. Ad esempio in campo, per verificare lo stato di salute della materia prima (presenza della mosca olearia, stato di maturazione). Poi all’interno dell’azienda quando è il momento di trasformare l’oliva in olio, dall’inizio di lavorazione sino alla fine (monitoriamo temperature, modalità, igiene...) Facciamo test al momento dell’immagazzinamento (ad es. verifichiamo la separazione morchie, la pulizia contenitori, la temperatura conservazione). Supervisioniamo l’imbottigliamento (perché non entri aria, sotto azoto) per poi arrivare al controllo organolettico (già in molitura): cioè ci assicuriamo che qualità, profumo, sentore, amarezza siano corrette... tutte queste caratteristiche le dobbiamo riscontrare, altrimenti abbiamo lavorato male ed è un problema. Ci avvaliamo di un laboratorio per avere i parametri chimici (acidità e altro). Insomma, dall’inizio alla fine il processo è costantemente sorvegliato.
Come fate a difendere il raccolto dagli insetti in maniera biologica?
Qui entriamo nel discorso sul biologico. Mi ricollego a quanto detto prima: tra i controlli ci sono quelli fatti da organismi pubblici che verificano che le dichiarazioni dell’azienda riguardo alla produzione biologica siano veritiere. Per produrre biologico ci deve essere una certificazione rilasciata da un ente terzo, persone esterne che svolgono il lavoro di ispettori nelle aziende e attestano il lavoro fatto sul biologico. Quindi l’azienda è controllata sia all’interno che all’esterno.
Quali strumenti utilizzate per la raccolta?
Per la raccolta utilizziamo dei pettini pneumatici: per semplificare, sono come le dita di una mano aperta che “pettina” i rami e tira via le olive. Questi pettini sono attaccati ad un braccio, un’asta lunga, collegati al trattore con un compressore che dà potenza. Il raccoglitore con questi pettini tira via le olive dalle sommità degli alberi. A raccolta finita le olive vengono messe in cassette e portate al frantoio per la lavorazione. Adesso abbiamo sostituito questi pettini con una nuova attrezzatura elettrica a batteria, per un discorso ambientale di sostenibilità.
Vendete in Italia o all’estero?
Entrambi. In Italia vendiamo direttamente alle famiglie, ai consumatori finali, ai ristoranti, agli alberghi, nei negozi biologici, nei supermercati e in farmacia (un particolare prodotto che ha una funzione salutistica). Vendiamo olio all’estero a mercati di nicchia, che ricercano prodotti di pregio. I clienti di questi mercati amano spendere nel biologico e preferiscono investire in cibo di qualità.
La vostra azienda ha creduto e investito nel biologico. Nel corso del tempo come è cambiato il vostro modo di produrre olio?

Sì, il nostro olio è biologico, certificato da 30 anni. Quando abbiamo deciso di convertire gli uliveti al biologico, abbiamo voluto dire stop alla chimica, ai pesticidi, ai fitofarmaci e alle sostanze di sintesi, privilegiando una produzione naturale, rispettosa dell’ambiente e dell’uomo. Abbiamo fatto questa scelta in una direzione opposta a quella del mercato che privilegiava una coltivazione di massa molto inquinante.
Noi avevamo intuito che quella strada poteva essere migliore, anche per la salute. Il tempo ci ha dato ragione: la decisione, meditata e voluta, oggi ci premia, anche sul mercato. L’agricoltura biologica va nella direzione della sostenibilità, cioè rispetto dell’ambiente, non utilizza la chimica, ma solo sostanza organica, rispetta l’ambiente, l’ecosistema e l’uomo.
Tra le altre cose, questa tecnica di coltivazione, aiuta anche nel bilancio del carbonio: ci sono dei modi di lavorare la terra che aumentano i gas serra che rovinano il clima (clima alteranti). Ebbene, nel nostro caso, noi riusciamo a sequestrare il carbonio dall’atmosfera e le emissioni sono nettamente inferiori. Il carbonio emesso è inferiore a quello sottratto dall’atmosfera, quindi il bilancio è positivo.
Rispetto ai metodi tradizionale, la produzione moderna è sostenibile?
Certo tipi di produzione come l’agricoltura biologica, la biodinamica o la rigenerativa sicuramente lo sono. Chi invece usa la chimica come in passato, no.
Non è un problema che riguarda solo le aziende agricole, ma tutti quanti. L’agricoltura ha una grande responsabilità nei confronti delle nuove generazioni ed è bene privilegiare chi lavora in un certo modo.
Una delle prime definizioni di sostenibilità dati negli anni ‘80 parlava di “giustizia intergenerazionale”. Se oggi consumiamo tutte le risorse, le generazioni future non avranno niente. Quindi non è solo un discorso di sostenibilità, ma anche giustizia. Bisogna stare attenti e pensare alle generazioni future. Il problema oggi è forte perché le risorse si stanno esaurendo e ce ne sono sempre meno.
Riutilizzate i prodotti di scarto? In che modo?
Sì, certo. Pensate all’oliva. Al suo interno c’è l’osso, la polpa da cui si estrae l’olio e acqua. Estratto l’olio, osso ed acqua mi servono per concimare perché è sostanza organica fondamentale e utilissima per l’oliveto. Questi prodotti che derivano dal campo ritornano al campo, secondo i dettami dell’economia circolare. Non uso la chimica, ma riutilizzo gli scarti che da rifiuti diventano materia prima.
Quali obiettivi vi ponete per il futuro?
È una bella domanda. Ne ho tanti, tantissimi. Parlando di sostenibilità, la mia voglia è di piantare nuovi oliveti, aumentare produzione, studiare nuovi prodotti, offrire sempre più un prodotto sano, genuino, gustoso... magari fare altri prodotti nella cosmetica.
Cosa usi per condire l’insalata?
Uso l’olio di raggia EVO biologico, perché ha un fruttato fresco, di olivo, è molto delicato e ha un sentore di mandorla, leggermente piccante e amarognolo. L’utilizzo sulle insalate, insalate di mare e sui piatti più delicati.
Che fame! Ci fa fare un assaggio?
Lo farei volentieri, ma le regole covid non lo permettono qua in classe. Intanto vi invito in azienda per un assaggio sul pane e vi ho portato delle lattine per provare a casa il nostro “Altri tempi”.

Grazie Francesca, sei stata gentilissima
È stato un piacere. Grazie a voi per l’invito.